Pluripremiato testo dello scrittore, sceneggiatore e regista di culto britannico David Hare, Il cielo sopra il letto esplora la complessa e drammatica relazione tra Saverio, imprenditore benestante e vedovo, ed Elisabetta la sua ex-amante, insegnante in una scuola di periferia, che vive in una modestissima casa di un quartiere popolare. Elisabetta, che aveva vissuto per un periodo nella casa di lui, se n’era andata quando la moglie, ai tempi della loro relazione ancora in vita, aveva scoperto il legame tra la ragazza e il marito. A un triennio di distanza dall’improvvisa e silenziosa fuga di lei, e un anno dopo la morte della moglie di lui, il divario tra i due sembra divenuto incolmabile: lei legge libri in autobus, lui è infelice padre di un figlio per cui spende i suoi soldi. Lei è impegnata nel recupero di giovani alunni precari, incarnando una certa sinistra militante, lui gira con l’autista, abita in una villa nel verde, è riuscito a farsi quotare in Borsa la propria catena di aziende di ristorazione, in breve riflette la tipologia più dinamica d’una nuova classe imprenditorial-conservatrice. Il testo racconta l’incontro di una sola notte, tra i due ex innamorati, una notte in cui si riaccendono sia la passione erotica di un tempo sia le differenze ideologiche, unite ad un senso di colpa schiacciante che li porterà ancora una volta ad una separazione lacerante e allo stesso tempo inevitabile. È un incontro ma al tempo stesso un insanabile dissidio tra due solitudini, tra due mondi, due età, tra la cultura conformista di lui e l’anticonformismo di lei. David Hare è uno dei più grandi autori britannici del nostro periodo ed è anche il più controverso – dichiara Luca Barbareschi – Il cielo sopra il letto è una bellissima storia che pur essendo una straordinaria introspezione di un rapporto uomo-donna, riesce a diventare mirabilmente uno statement politico su quello che è lo scontro psicologico tra politically correctness e pensiero razionale logico. Lui è un uomo pratico, ma intellettualmente onesto. Lei riflette l’anima di Hare, è il personaggio nel quale si identifica. Lo sguardo dell’autore su questi due personaggi non è di chi giudica. La saggezza vera sta nel comprendere i due personaggi. Esponente di una nuova generazione, Hare affida al figlio di Saverio il compito di mediare tra le solitudini di due ex intimi ora così concettualmente distanti e invocare una qualche solidarietà che, ai suoi occhi giovani, prescinde dalle barriere sorte tra il progressismo assistenziale di lei e il prototipo di una cultura affaristica rappresentata dalla figura paterna. Skylight è stato originariamente prodotto dal National Theatre nel 1995, prima del trasferimento al West End e a Broadway, e ha vinto il Laurence Olivier Award come migliore nuova opera teatrale. Nel 1997 con la produzione che mise il testo in scena a Broadway, Skylight si è aggiudicato anche il Tony Award al miglior revival di un’opera teatrale.
Il Penitente
Uno psichiatra affronta una crisi professionale e morale quando rifiuta di testimoniare in tribunale a favore di un paziente accusato di avere compiuto una strage. Il penitente, l’ultimo testo composto nel 2016 per il teatro dal drammaturgo statunitense David Mamet – Premio Pulitzer per Glengarry Glen Ross – descrive l’inquietante panorama di una società così alterata nei propri equilibri che l’integrità del singolo, anziché guidare le sue fulgide azioni costituendo motivo di orgoglio, diviene l’aberrazione che devasta la sua vita e quella di chi gli vive accanto. Coinvolto da un sospetto di omofobia, ‘il penitente’ subisce una vera gogna mediatica e giudiziaria e viene sbattuto ‘in prima pagina’ spostando sulla sua persona la momentanea riprovazione di un pubblico volubile, alla ricerca costante di un nuovo colpevole sul quale fare ricadere la giustizia sommaria della collettività. L’influenza della stampa, la strumentalizzazione della legge, l’inutilità della psichiatria, sono questi i temi di una pièce che si svolge tra l’ambiente di lavoro e il privato del protagonista. La demolizione sociale di un individuo influisce inevitabilmente sul suo rapporto matrimoniale.
Cyrano de Bergerac
La storia di Cyrano de Bergerac, fenomenale spadaccino, spirito libero e poeta che porta nel bel mezzo della faccia un naso che “di almeno un quarto d’ora sempre lo precede”, è entrata di diritto nell’immaginario popolare, tanto da essere stata tradotta, adattata e interpretata innumerevoli volte. La storia è nota: innamorato senza poterlo rivelare di sua cugina Rossana, a sua volta stregata dalla bellezza di Cristiano, propone al giovane rivale un piano per conquistare l’inarrivabile fanciulla. Tuttavia non tutti sanno che questo personaggio leggendario è ispirato alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, uno dei più eclettici scrittori del Seicento francese e precursore della letteratura fantascientifica. I suoi romanzi sono metafora di viaggi meravigliosi, realistici e visionari, verso la Luna e il Sole. E un viaggio fantastico dentro la propria anima è proprio quello che compiono i due protagonisti che, da rivali si scoprono fratelli, alla ricerca di quella bellezza che pare essere il tema portante del racconto.
L’anatra all’arancia
“L’anatra all’arancia” è uno spettacolo cult del teatro comico, opera di William Douglas Home, adattata dal celebre Marc Gilbert Sauvajon. Titolo emblematico di quella drammaturgia che suscita la risata con classe, attraverso un uso sapiente e sottile della macchina teatrale. Una bellissima storia universale di un uomo e di una donna e del loro ménage messo in crisi dalla personalità di lui, egoista, egocentrico, incline al tradimento, vittima del proprio essere un clown che finisce per stancare chi gli sta intorno. E di come il protagonista si inventi un modo per riconquistare la moglie che lo ha tradito e che amava, architettando un piano per dimostrarle che lui è il suo unico amore anche dopo venticinque anni. Luca Barbareschi, qui in veste anche di raffinato regista, e Chiara Noschese animano l’ingranaggio di questa commedia impreziosita da dialoghi gustosi e irresistibili.
Cercando segnali d’amore nell’universo
Uno spettacolo ricco di grandi emozioni che arrivano al cuore dello spettatore Per festeggiare i primi quarant’anni di carriera, Luca Barbareschi torna in teatro con un one man show ironico, divertente, pieno di energia e di musica dal vivo che affascinerà e incanterà il pubblico. Con un racconto letterario che ripercorre la carriera e racconta il percorso artistico e umano che ha contraddistinto la sua vita professionale. Lo fa con le parole dei più grandi autori con i quali ha avuto la fortuna ed il piacere di confrontarsi. Con la saggezza di Shakespeare o con l’ironia pungente di Mamet, accompagna lo spettatore in un viaggio emotivo sospeso nella magia del gioco teatrale. Con il “pretesto” della sua biografia ripercorre le tappe fondamentali della sua vita, prendendo a prestito le parole di autori famosi da Shakespeare, Mamet, Tomasi di Lampedusa, Eschilo e l’accompagnamento di grandissimi autori musicali (Mozart, James Taylor, Chico Buarque) da vita ad uno spettacolo emozionante, commovente, coinvolgente e al contempo divertente. Questo spettacolo è dedicato a quanti non hanno smesso di cercare nei loro sogni, nei cieli notturni, nelle storie antiche, nelle lunghe attese, nella voglia di fare festa perché la vita è questo strano gioco nel quale tutti ci troviamo a recitare. Lo show è arricchito dalla band musicale di Marco Zurzolo, musicista e amico con cui Luca Barbareschi ha condiviso tante avventure artistiche.
Una tigre del Bengala allo zoo di Baghdad
“Una tigre del Bengala nello zoo di Baghdad” racconta al pubblico che tutti gli altri animali sono fuggiti dallo zoo in cerca di libertà dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, solo per essere trucidati e mangiati dai soldati. Quella notte, un plotone di soldati statunitense entra nello zoo e due soldati vengono messi di guardia davanti alla gabbia della tigre. Un soldato, Tom, si fa gioco del felino sventolandogli davanti del cibo e poi ritraendo di scatto la mano, prima che la tigre, esasperata dalla fame e dalla paura, azzanna la mano del militare; il suo compagno, Kev, spara alla tigre, ferendola mortalmente. Kev scopre che il fantasma della tigre lo perseguita mentre lavora in giro per Baghdad, ma dopo un’esplosione inaspettata il marine si trova ricoverato in ospedale, dove viene ritenuto pazzo perché continua a vedere una tigre immaginaria. Tom, ora con una protesi alla mano, torna in Iraq e va a visitare Kev in ospedale, anche se non solo per compassione per il commilitone. Si scopre che la pistola placcata in oro che Tom stava mostrando a Kev prima di essere aggredito dalla tigre era stata rinvenuta nel palazzo del defunto Uday Hussein, figlio dell’ex dittatore Saddam Hussein. Tom rivuole la pistola e chiede a Kev che fine abbia fatto, dato che vuole tornare negli Stati Uniti e farsi una nuova vita con i soldi ricavati dalla vendita dell’arma e della tavoletta del water placcata in ora sempre sottratto dalla casa di Hussein. Ma Kev ha perso la pistola dopo aver visto il fantasma della tigre per strade e l’arma è stata presa da Musa, l’ex giardiniere di Uday ora in servizio come traduttore per l’esercito statunitense. Anche Musa sta ricevendo delle visite sovrannaturali e vede il fantasma di Uday, che gli impedisce di consegnare la pistola dorata. Per provare ad allontare la tigre fantasma, Kev decide di amputarsi la mano e gettarla in pasto al felino, ma qualcosa va storto e Kev muore nel tentativo. Divenuto un fantasma, Kev segue Tom per le vie della città, cercando un significato per tutte le cose orribile successe nella capitale irachena. |
Il discorso del Re
La commedia de Il discorso del Re è ambientata in una Londra surreale, a cavallo tra gli anni 20 e 30, ed è incentrata sulle vicende di Albert, secondogenito balbuziente del Re Giorgio V. Dopo la morte del padre, il timido e complessato duca di York non sarebbe dovuto salire al trono d’Inghilterra. Il primogenito era infatti Edoardo, che divenne sì re ma che, per amore di Wallis Simpson, abdicò neppure un anno dopo. A Bertie, o meglio ad Albert Frederick Arthur George Windsor, toccò il peso della corona diventando sovrano con il nome di Giorgio VI. Un uomo atipico che fu re molto amato dal popolo, legato da vero amore alla moglie: la volitiva Elisabetta Bowes-Lyon, e che si portava appresso un fardello di costrizioni infantili e un bisogno di affetto difficili da trovare nell’anaffettiva coppia di genitori regali. Un’insicurezza che si esprimeva attraverso una balbuzie invalidante e impossibile da gestire nei numerosi e imbarazzanti discorsi pubblici cui era tenuto. In più, Giorgio VI si trovava a essere la voce del e per il popolo britannico in un momento difficile della storia, alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Ma che voce poteva essere o quale guida per il popolo? Così venne portato dalla moglie in visita dal logopedista australiano Lionel Logue, dai metodi anticonformisti, capace di sondare le anime e di medicarle, attore mancato per eccessiva enfasi, insegnò al Duca di York come superare l’incubo di parlare in pubblico. Logue pretese subito il “tu” dal reale e sottopose il futuro re ad una cura che attingendo al laboratorio teatrale quanto alla seduta psicanalitica gli permise di salire sul trono.
Il caso di Alessandro e Maria
Dialogo intimo a due in bilico tra passato e presente, storia di un innamoramento trascorso e della devastazione che inevitabilmente le grandi passioni comportano, ring del cuore per quei due che avevano vissuto “un amore smisurato e sciupato”. Inaspettate interazioni tra quotidianità e sogno trascendono e prendono corpo e voce con Luca Barbareschi nel ruolo di Alessandro tra il dilemma di “essere” o “esserci” e la Maria di Chiara Noschese “con la sua gioia di esistere e la sua tristezza di non essere in nessun posto”. Litigano, comunicano e non comunicano, punzecchiano, giocherellano, duettano, sulle note della colonna sonora inedita del bravo musicista Marco Zurzolo, eseguita dal vivo dall’autore e la sua band. Un modo per restituire al pubblico un pezzo eclissato della straordinaria e vasta produzione gaberiana, un omaggio personale di Barbareschi all’amico Giorgio, una ricerca del regista-attore di ritornare a raccontarsi attraverso il privato, di volare oniricamente tra musica e parole, un reality love show, cantato, ballato, recitato
IL SOGNO DEL PRINCIPE DI SALINA: L’ULTIMO GATTOPARDO
La storia narra le vicende del casato nobiliare dei Salina, sospesa tra ricordo ed essere, alterna sprazzi di un passato folgorante e drammaticità borghese, profonde riflessioni sul tempo, specialmente interiore, alla realtà attraverso lo sguardo malinconico e fiero di Fabrizio Corbera, l’ultimo Gattopardo. Uomo dall’animo complesso, caratterizzato da un profondo conflitto interiore e da una calma apparente, nella sua mente cela pensieri che sfuggono al mondo che lo circonda e lancinanti riflessioni sulla natura umana. Solo l’amato nipote Tancredi ne intuisce la natura travagliata , l’unico in cui l’uomo-gattopardo si vede riflesso mentre impotente assiste alla fine di un’epoca. Il bel Tancredi, entusiasta e scavezzacollo, convincerà Fabrizio ad acconsentire alle nozze con Angelica, la figlia del ricco e parvenu Don Calogero Sedara. Nei saloni della residenza estiva Donnafugata, assisteremo alla parabola discendente dell’esistenza, viaggio nel dubbio di un uomo, grande provocatore e sublime vittima, fino all’epilogo della sua vita.
Don Giovanni di Molière
Atto I Don Giovanni, seduttore incallito, ha costretto Donna Elvira a fuggire dal convento, in cui si trovava, ma solo per sedurla e abbandonarla. Donna Elvira, decisa a tornare in clausura per il resto della sua vita, preannuncia a Don Giovanni la maledizione del Cielo. Atto II Don Giovanni e il servitore Sganarello scampano a una burrasca grazie all’aiuto di Pierrot. Carlotta, promessa sposa di Pierrot, cede alle lusinghe di Don Giovanni; come lei anche Mirrina. Con un abile gioco di parole Don Giovanni riesce a eludere il confronto con le due donne, alle quali ha giurato eterno amore con la promessa di un matrimonio. L’atto si chiude con La Frasca che avverte il suo signore(Don Giovanni) che 12 uomini a cavallo lo stanno cercando. Don Giovanni, per non farsi trovare, si cambia d’abito col servo. Atto III In una foresta Don Giovanni soccorre un gentiluomo assalito da tre banditi e scopre che si tratta di Don Carlos, uno dei fratelli di Donna Elvira, il quale cerca Don Giovanni per vendicare l’onore della sorella. Riconosciuto, Don Giovanni viene lasciato libero per l’azione generosa da lui compiuta. Inoltratosi nella foresta si trova di fronte al monumento funebre del Commendatore, da lui assassinato, che accetta l’invito a cena, fattogli per bravata da Don Giovanni. All’inizio incontra anche un pover uomo al quale fa l’elemosina solo a patto che egli bestemmi. Atto IV Don Giovanni riesce, fingendo cortesia e rispetto, a non dare denaro al suo creditore: il signor Domenica. Don Luigi, padre del protagonista, mostra il suo risentimento nei confronti del figlio. Donna Elvira gli comunica che si ritirerà a vita religiosa e lo supplica di pentirsi. Atto V Don Giovanni decide di diventare un uomo di Chiesa, ma in realtà non lo fa per vocazione, ma solo perché crede che ciò possa mettere a tacere il padre e gli consenta di possedere un alibi per le sue future storielle. Un fantasma lo avverte che il cielo presto lo punirà e ciò infatti avviene: all’arrivo della statua del Commendatore, che lo esorta per l’ultima volta a pentirsi, Don Giovanni si mostra ancora indifferente. La statua del Commendatore lo invita a sedere a tavola e ne prende la mano. Egli verrà prima colpito da un fulmine e poi precipiterà negli inferi, inghiottito dalla terra. Reazioni Quest’opera di Molière suscitò un grande scandalo negli ambienti ecclesiastici, per i quali il Don Giovanni costituiva un’inaccettabile apologia del libertinismo. A ciò si aggiungeva la presenza di un personaggio come Sganarelle, il servitore, che appariva come un personaggio superstizioso oltre che irriverente (in particolare per la sua battuta finale in cui egli, di fronte al castigo del padrone non fa altro che reclamare la sua paga).